Le cinque fasi dell'arte indiana

La storia dell’arte indiana presenta cinque fasi distinte, che in realtà si frazionarono ulterioremente originando stili differenti e regionali, ma che in principio possono essere utilizzate come linee guida nell’ imponente varietà di stili artistici, di ricchezza di forme e immagini, di ideali espressi e soluzioni estetiche, cui spetta il nome unitario di arte indiana. I 5 diversi tipi di arte indiana sono nati ciascuno dall'eredità lasciata dai predecessori, ma rivolti poi all'espressione di ideali differenti.

Per prima apparve, nella valle dell’Indo, un’ arte sobria e realistica, equilibrata, prodotta in seno ad una società costituita prevalentemente da commercianti.

Seguì, nel periodo ario-indiano, un’arte piena di gioia di vivere, nonostante certe tendenze ascetiche del tempo, caratterizzata da un’ osservazione più attenta della natura, turbata e sgomenta dinnanzi alle sue forze inscrutabili, prima, ma poi atteggiata a un rapporto più intimo sfociante quasi in un realismo magico, fatta infine più intensa nella perfetta sintesi di umana raffinatezza e solenne spiritualità propria dell’ arte Gupta.

Nel Medioevo poi, l’ arte prese coscienza dei propri valori tradizionali e portò l’eredità dei Gupta e parallelamente quella dei Pallava, alla massima creatività; fu profondamente mistica prima, poi divenne gradatamente sempre più superficiale, al punto che la fredda speculazione teologica prese il posto della fede più ardente, e ancora, profana sotto la veste di immagini religiose, sfociò in una vera e propria gara per il tempio più grande e più ricco di sculture, prive però a volte di raffinatezza e gusto.

Il periodo indo-islamico vide da un lato il sorgere dell’ arte musulmana, grandiosa ed ambiziosa, con una ricchezza stupefacente di squisite decorazioni astratte o floreali, fondamentalmente straniera e tuttavia chiaramente distinta dall’ arte degli altri paesi musulmani per la sua mescolanza di caratteristiche iraniche arcaiche e motivi indù adattati ad essa; dall’ altro, la tarda arte indù, che iniziò con la rinascita dell’ antico e terminò in uno stile semislamico gravido d’amore per la natura, amore che costituisce un motivo indigeno, e di elementi erotici e mistici.

L’ arte moderna infine, rifuggendo da una imitazione servile dell’ arte europea, ma volta a una non meno servile imitazione degli antichi modelli indiani, appare ora in cerca di una sintesi fondata su principi basilari.

La comprensione di manufatti artistici e opere architettoniche prodotte nel subcontinente indiano dal III millennio a.C. ai nostri giorni non può prescindere dal contesto ideologico, estetico e religioso di una civiltà che assunse una configurazione coerente già nel I secolo a.C. e la conservò, con sorprendente continuità, attraverso le epoche successive.

Le concezioni induista, buddhista e giainista del mondo si incentrano sulla ricerca di una soluzione al paradosso centrale dell’esistenza, in base al quale cambiamento e perfezione, tempo ed eternità, immanenza e trascendenza operano sì in modo opposto, ma come parti integranti di un unico processo. Di conseguenza, la creazione non può essere distinta dal creatore e il tempo diventa comprensibile solo come eternità. Questo concetto, applicato all’arte, divide l’universo dell’esperienza estetica in tre elementi distinti e tra loro correlati: i sensi, le emozioni e lo spirito.

Sono questi gli elementi che dettano i principi dell’architettura, quale mezzo per catturare e trasformare lo spazio, e della scultura, nei volumi, nella plasticità, nella composizione e nei valori estetici che la caratterizzano. Invece di sottolineare la dicotomia tra materia e spirito, l’arte indiana, attraverso una sensualità e una voluttà deliberate, cerca di fondere i due elementi tramite un complesso simbolismo. In questo modo, ad esempio, le forme sensuali di un corpo femminile diventano espressione dell’eterno mistero del sesso e della creazione e la sposa momentanea si trasforma in madre eterna.

Nell’arte indiana ricorrono motivi semplici – la silhouette femminile, l’albero, l’acqua, il leone e l’elefante – in composizioni che, nonostante appaiano a volte concettualmente deboli, esprimono con vigore inconfondibile vitalità sensuale, realismo, energia e ritmo. Nella pittura indiana la forma del tempio indù, il profilo del corpo delle divinità, la luce e l’ombra, la composizione e il volume concorrono tutti a glorificare il mistero che risolve il conflitto tra vita e morte, tempo ed eternità.

Buddhismo e induismo hanno permeato la civiltà indiana. Insieme a queste due religioni, i valori estetici indiani si diffusero in tutto l’Oriente, esercitando una considerevole influenza sull’arte cinese, giapponese e del Sud-Est asiatico. Durante la dominazione dell’Islam, dal XIII al XVIII secolo, per la norma coranica che vieta di rappresentare la figura umana in ambito religioso, i motivi decorativi indiani assunsero forme geometriche.

Architettura

Gli esempi più antichi conservatisi sono edifici in mattoni che probabilmente riproducono, nelle forme e nello stile, precedenti costruzioni in legno.

Stili arcaici indiani e buddhisti

I reperti più antichi dell’architettura indiana sono i frammenti di costruzioni in mattoni cotti scoperti a Mohenjo-Daro e Harappa (oggi in Pakistan), risalenti circa al 2500-1750 a.C. Il successivo periodo, detto vedico perché la vita religiosa e rituale era dettata dai testi del Veda, è rappresentato dai tumuli funerari di Lauriya Nandangarh, nello stato del Bihar, e dalle tombe scavate nella roccia di Malabar, nello stato del Kerala.

Gli stili storici cominciarono a comparire intorno al 250 a.C., all’epoca del re Aśoka che, convertitosi al buddhismo, diede quindi grande impulso all’architettura religiosa. Tipico edificio buddhista è lo stupa, un monumento emisferico o a forma di campana in pietra, generalmente recintato, che funge da tempio e reliquiario. I più grandi stupa conservatisi si trovano nel tempio di Sanchi nel Madhya Pradesh, che commemora la morte del Buddha e la sua entrata nel nirvana.

Altre diffuse strutture buddhiste sono la dagoba, un reliquiario considerato all’origine della pagoda cinese; il lat, un pilastro di grandi dimensioni in pietra scolpita; la caitya, una sala di preghiera di forma basilicale; e il vihara, un tempio o monastero scavato spesso nella roccia. Le decorazioni architettoniche, quali capitelli e modanature, tradiscono l’influenza delle culture mediorientali e greca. Tra gli esempi più noti di monumenti rupestri del Maharashtra vi sono la Grande Caitya di Karla, risalente forse all’inizio del II secolo a.C., che presenta una ricca facciata scolpita e una lunga navata a galleria, e vari templi e monasteri ad Ajanta ed Ellora.

Stili giainista e indù

Dopo il V secolo l’induismo e il giainismo furono le religioni dominanti. I loro stili si fusero producendo quella decorazione a bande, gremite di figure scolpite, che divenne il tratto più tipico dell’architettura indiana. Gli edifici giainisti sono spesso monumentali, con alte cupole formate da corsi concentrici di pietre a modiglioni. Ne sono stati scoperti resti imponenti, formati da gruppi di piccoli templi, sulla sommità di alcuni rilievi: sul colle Parasnath nel Jharkhand, sul monte Abut ad Abu nel Rajasthan (uno dei più antichi) e a Satrunjaya nel Gujarat. Caratteristica dell’architettura giainista è anche la torre commemorativa dalla fitta decorazione, come quella a nove piani di Jaya Sthamba.

Lo stile indù, affine al giainista, è contraddistinto da un vasto impiego della decorazione, da coperture piramidali che terminano in delicati pinnacoli e dalla presenza di alte porte a torre, dette gopura. Ne sono esempi i templi di Belur, Halebid, Tiruvalur, Thanjavur e Rameswaram nel Tamil Nadu, di Barolli nel Rajasthan, di Varanasi nell’Uttar Pradesh e il Tempio del Sole a Konarka, nell’Orissa

Stile indoislamico

Giunta in India nel XIII secolo con i primi conquistatori musulmani, l’architettura islamica perse ben presto la sua purezza e assorbì elementi locali come i cortili cinti da colonnati, i balconi sorretti da mensole e, soprattutto, l’ornamentazione. L’Islam, a sua volta, introdusse in India la cupola, l’arco a tutto sesto, i motivi geometrici, i mosaici e i minareti. Nonostante marcate differenze concettuali, l’architettura indiana e quella musulmana giunsero a una sintesi armoniosa manifesta soprattutto in alcuni stili regionali.

Lo stile indoislamico si divide in tre fasi: pashtun, “provinciale”, e moghul. Tra gli esempi dello stile pashtun vi sono le costruzioni in pietra di Ahmadabad, nel Gujarat, e quelle in mattoni di Gaur-Pandua nel Bengala Occidentale, strutture assai prossime ai modelli indù, ma più semplici e prive di sculture antropomorfe. Altri monumenti celebri sono il mausoleo di Gol Gumbaz (XVII secolo) a Bijapur nel Karnataka, la cui cupola misura 43 m di diametro, e la torre in marmo e pietra, alta cinque piani, nota come Minareto Qutb (XII secolo), nei pressi di Delhi.

Lo stile provinciale, che si opponeva allo stile imperiale di Delhi, si espresse più significativamente nel Gujarat, dove per quasi due secoli, fino a quando nel 1572 l’imperatore Akbar conquistò la regione, le dinastie che si succedettero eressero numerosi monumenti. Nella capitale, Ahmadabad, sorge la moschea Jami Masjid (1423), unica in tutta l’India perché, nonostante l’ispirazione islamica, presenta decorazioni tipicamente indù.

Durante il periodo moghul, che ebbe il suo massimo splendore nel XVII secolo, divenne frequente l’utilizzazione del marmo, come nel caso del Taj Mahal di Agra, nell’Uttar Pradesh. Questo elegante mausoleo in marmo bianco, coperto da una cupola e intarsiato di pietre preziose, che si innalza su una piattaforma delimitata da quattro esili minareti, fu fatto costruire (1631-1653) dall’imperatore Shah Jahan come tomba per la sua amatissima moglie.

Altri famosi monumenti Moghul sono la Moschea delle Perle ad Agra, i palazzi fortezza di Agra e Delhi (Forte Rosso), le grandi moschee di Delhi e Lahore (ora in Pakistan), il famoso osservatorio astronomico Jantar Mantar di Jaipur costruito dal maharaja Jai Singh II (1686-1743). Vedi anche Arte Moghul.

Stili moderni

A partire dal XVIII secolo l’architettura indiana continuò a riprodurre le forme tradizionali, ma si ispirò anche ai modelli europei introdotti dai britannici, soprattutto per edifici pubblici, industrie e alberghi. La città di New Delhi fu interamente progettata in stile neoclassico da architetti britannici negli anni 1912-1929. Uno fra i non pochi esempi di progettazione architettonica occidentale commissionati dal governo indiano è la città di Chandigarh, realizzata dall’architetto franco-svizzero Le Corbusier in collaborazione con altri colleghi indiani. La moderna architettura indiana ha assimilato anche altri stili occidentali, sempre adattandoli alle tradizioni e alle necessità locali.

Scultura

Le più antiche sculture indiane erano in pietra, terracotta, avorio, rame e oro.

Epoca antica

I reperti della civiltà dell’Indo, rinvenuti a Mohenjo-Daro e risalenti al III millennio a.C., comprendono statue di alabastro e marmo, figurine in terracotta di divinità femminili, statuette di animali, un modellino di carro in rame, e numerosi sigilli quadrati in avorio e ceramica, che raffigurano animali e pittogrammi. Sia per il soggetto sia per la marcata stilizzazione, questi oggetti sembrano molto simili a quelli mesopotamici, suggerendo un’interrelazione tra le due culture e forse una comune origine .

Nel periodo vedico e in quelli successivi, dal II millennio al III secolo a.C., non si registrano invece contatti con le culture mediorientali. Tra le più antiche testimonianze di quest’epoca c’è una statuetta di divinità femminile in oro (IX secolo a.C.) rinvenuta a Lauriya Nandangarh.

Scultura buddhista

Con l’affermazione del buddhismo nel III secolo a.C., e il conseguente sviluppo di un’architettura monumentale in pietra, la scultura a tuttotondo o a rilievo divenne un elemento decorativo importante che diede vita a composizioni affollate e dotate di una vivace ornamentazione, secondo uno stile che sarebbe divenuto tipico di tutta la storia della scultura indiana. Tra i capolavori dell’epoca si ricordano i capitelli zoomorfi dei pilastri isolati in calcare del re Aśoka, i bassorilievi delle balaustre in marmo che recintano gli stupa di Bharhut, nei pressi di Satna (Madhya Pradesh), e gli splendidi cancelli del Grande Stupa di Sanchi.

Nell’India nordoccidentale, nella regione che nell’antichità veniva chiamata Gandhara e che ora comprende l’Afghanistan e parte del Punjab, nacque una scuola di scultura, che combinava forme greco-ellenistiche (vedi Arte greca) e soggetti buddhisti, che raggiunse il culmine della sua produzione nel II secolo d.C. È probabile che le immagini e i simboli buddhisti del Gandhara giungessero fino a Mathura, nell’Uttar Pradesh, dove si sviluppò un’importante scuola di scultura tra il II secolo a.C. e il VI secolo d.C., i cui esempi più antichi presentano anche numerose similitudini con lo stile di Bharhut. In seguito, tra il I e il II secolo d.C., la scuola di Mathura abbandonò il simbolismo arcaico e prese a rappresentare figurativamente il Buddha, inaugurando una tradizione molto seguita nelle fasi successive della storia della scultura indiana.

Scultura indù

La scultura induista si sviluppò durante l’epoca gupta, quando vennero scolpiti i rilievi sui santuari rupestri di Udayagiri, nel Madhya Pradesh (400-600), e le statue che ornano i templi di Garhwa, nei pressi di Allahabad, e di Deogarh. Tra il VII e il IX secolo fiorirono numerose scuole: lo stile architettonico pallava, esemplificato dai monumenti di Kanchipuram, nel Tamil Nadu; lo stile rastrakuta, i cui esempi meglio conservati sono un colossale rilievo su un tempio e il busto a tre teste di Shiva a Elephanta, vicino a Mumbai; e lo stile del Kashmir, che rivela alcune influenze sia dell’arte del Gandhara nelle vestigia di Vijrabror, sia di forme più indigene nelle figurine di divinità indù rinvenute a Vantipor.

Dal IX secolo agli inizi del XIII, quando si consolidò il dominio musulmano, la scultura indiana tese alla linearizzazione, con una resa delle figure ottenuta tramite contorni invece che con il modellato, e fu sempre più impiegata in funzione subordinata all’architettura. Era caratterizzata da figure complesse, come quelle con più braccia, tratte dal pantheon delle divinità indù e giainiste.

Nell’area settentrionale e orientale le scuole principali sorsero nel Bihar e nel Bengala, sotto la dinastia Pāla, dal 750 al 1200. La scuola dell’Orissa produsse opere tipicamente indù, come i monumentali elefanti, cavalli e fregi erotici del Tempio del Sole di Konarka. Lo stile locale del Rajputana (ora compreso negli stati del Gujarat, Madhya Pradesh e Rajasthan) è esemplificato dal tempio di Khajuraho, letteralmente coperto di sculture indù. Le scuole del centro-sud e dell’ovest realizzarono opere notevoli a Mysore, Halebid e Belur: i templi erano ornati da fregi intagliati, pilastri e mensoloni in pietra scura leggermente venata.

Pittura

Testimonianze pittoriche risalenti a prima del 100 d.C. si sono conservate in due sole località: Ajanta, nel Maharashtra, i cui santuari rupestri sono decorati da notevoli affreschi buddhisti, realizzati tra il 50 a.C. e il 642 d.C. e la grotta di Jogimara nell’Orissa.

Il periodo gupta rappresenta la fase classica dell’arte indiana, al tempo stesso serena ed energica, spirituale e voluttuosa. Un tipo particolare di pittura era realizzato su pergamena e rappresentava le ricompense del bene e le cattive conseguenze delle azioni malvagie. In tre grotte di Ajanta sono conservati dipinti appartenenti a questo periodo: ritraggono immagini del Buddha, donne addormentate e scene d’amore. Un altro gruppo di affreschi buddhisti, rinvenuti a Bamian, in Afghanistan, testimonia la grande abilità degli artisti nel ritrarre la figura umana in ogni tipo di postura: il disegno è tracciato con contorni marcati, i soggetti spaziano dal sublime al grottesco.

Molto interessanti sono inoltre gli affreschi del VII secolo in un santuario rupestre a Sittanavasal, nel Tamil Nadu. A Ellora sono stati rinvenuti dipinti dell’VIII secolo, i cui soggetti (un personaggio a cavallo di un leone e varie figure sospese sulle nuvole) anticipano temi caratteristici dello stile medievale indiano.

Le uniche testimonianze rimaste della scuola Pāla (750-1200) sono le illustrazioni di due manoscritti in foglia di palma (ora conservati presso la biblioteca dell’Università di Cambridge, in Inghilterra), che risalgono rispettivamente agli inizi e alla metà dell’XI secolo e comprendono un totale di 51 miniature, raffiguranti temi buddhisti, chiaramente derivate da composizioni tradizionali.

È noto anche un esemplare illustrato del Kalpa Sutra , un manuale di cerimoniale religioso, datato 1237, ora a Patan, nel Gujarat. La gran varietà di scene rappresentate fornisce utili informazioni sulle maniere, gli usi e gli abiti della cultura Gujarati. La pittura Gujarati è una continuazione dell’antico stile occidentale indiano; gli affreschi di Ellora rappresentano una fase intermedia del suo sviluppo.

La scuola pittorica rajput fiorì a Rajputana, nell’attuale Madhya Pradesh, e nel Punjab himalayano tra la fine del XVI e il XIX secolo. Una delle sue particolarità fu la decorazione dei manoscritti con motivi a campiture piatte di colori vivaci, che ricordava la pittura persiana e moghul dell’epoca. Questo stile, nelle sue forme popolari, servì a illustrare la tradizionale epica indù narrata nel Ramayana e nel Mahabharata, e soprattutto la vita del dio Krishna.

Nel periodo moghul la miniatura, derivata dalla sofisticata tradizione persiana, fu un’arte di corte patrocinata dagli imperatori. Essa rivela un grande interesse per la vita secolare e comprende numerosi ritratti e scene storiche documentarie, distribuite nei manoscritti o dipinte su fogli d’album. Lo stile è drammatico e contraddistinto da un’attenzione per i dettagli realistici di matrice occidentale.

Verso la fine dell’Ottocento la pittura indiana tradizionale era ormai in declino, soppiantata da opere che imitavano pedissequamente gli stili europei, affermatisi ovunque con l’inizio della dominazione britannica. Tuttavia, in seguito si ebbe un risveglio d’interesse per gli stili antichi, stimolato dalle campagne archeologiche intraprese intorno alla metà del XIX secolo. Sorsero così nuovi centri artistici a Bombay (l’attuale Mumbai) e soprattutto nel Bengala, con la Scuola di Belle Arti di Calcutta (oggi Kolkata) e l’università fondata nel 1921 dal pittore e poeta indiano Rabindranath Tagore, per riconciliare tradizioni locali e occidentali. Alcuni artisti, come Nandolol Bos, si ispirarono alle forme più arcaiche, altri, tra cui Jamini Roy, allo stile popolare dell’arte del Bengala.

Gioielli, ceramiche e tessuti

La gioielleria indiana è una delle più belle e raffinate del mondo; basti ricordare che in India non fu mai abbandonata la tecnica a filigrana, scomparsa dall’Europa dopo il crollo dell’impero romano e reintrodotta dai mori solo nel XV secolo.

La particolare qualità che contraddistingue la ceramica indiana è la rigorosa subordinazione del colore e dell’ornamentazione alla forma, e la ripetizione di motivi vegetali e animali nella decorazione. Quella prodotta a fini commerciali, sia dipinta, dorata o vetrinata, viene realizzata in varietà differenti nelle diverse province.

Il Kashmir è celebre per i suoi scialli in morbida lana vivacemente colorata; Surat, nel Gujarat, per le sue sete stampate; Ahmadabad, Varanasi e Murshidabad nel Bengala Occidentale per i sontuosi broccati. L’India è sempre stata famosa per i tessuti in seta e cotone, con decorazioni stampate, eseguite a batik, a telaio oppure ricamate.


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